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domenica 18 dicembre 2016

La grande distribuzione e il commercio diffuso


Sala Consilina (17-12-2016).
Pubblicazione autorizzata
dall'autore.
Solo qualche anno fa, a ridosso della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio comunale del 2009, veniva istituito, a Sala Consilina, un “Centro Commerciale Naturale” [1]. Uno studio nel 2006, una presentazione in pompa magna nello stesso anno, poi la costituzione di un consorzio agli inizi del 2010. Oggi il centro di Sala Consilina, pur discretamente addobbato con luci natalizie, grazie a finanziamenti in parte erogati dal Comune, in parte dalla Camera di Commercio [2], ha l’aspetto di un villaggio del Far West visitato dai banditi che sembrano aver consigliato alle famiglie di restare chiuse in casa. Si fa l’esempio di Sala Consilina, ma la stessa osservazione potrebbe essere valida anche per altri centri del Vallo di Diano.

Questo incipit è solo per illustrare il difficile momento che le attività commerciali tradizionali del posto stanno attraversando. Questa premessa dovrebbe inoltre servire per affrontare il non facile tema del fenomeno della crescente attenzione, da parte del consumatore medio, verso la cosiddetta “grande distribuzione” e le attività commerciali concentrate in aree dedicate.

Sala Consilina (17-12-2016).
Pubblicazione 
autorizzata dall'autore.
Notiamo che oggigiorno è alquanto difficile, per le famiglie del posto, prescindere dall'acquisto di beni di consumo presso i punti di presenza della grande distribuzione. Questo perché lo stile di vita delle persone si è andato man mano adeguando ai ritmi frenetici di una società industrializzata, anche se questo stadio produttivo non è mai stato veramente raggiunto (non si sa se per fortuna o per sfortuna) nel Vallo di Diano.

E allora chiediamoci come dovrebbe interfacciarsi un consumatore consapevole con il mondo della grande distribuzione e come quest’ultima realtà dovrebbe tenere in conto le capacità produttive locali. Infine chiediamoci quale potrebbe essere il futuro delle attività commerciali tradizionali. Queste domande resteranno per lo più senza risposta alcuna, nonostante l’esperienza maturata negli ultimi anni in ambito consumeristico, con qualche pubblicazione all'attivo anche in ambito scientifico [3]. Intanto, queste stesse domande saranno utili per incominciare a comprendere più a fondo il fenomeno dello spostamento dell’interesse del consumatore dal commercio “diffuso” a quello “concentrato”. 

Partiamo allora dal considerare che un consumatore medio apprende dell’esistenza di una gamma sterminata di prodotti attraverso la pubblicità su radio, televisioni, cartelloni sempre più obbrobriosi e invadenti, su manifesti e volantini. Dal punto di vista del consumatore, se questa semi-infinita offerta è concentrata in un luogo circoscritto, il tempo che lo stesso dovrà dedicare agli acquisti è minore di quello che s’impiegherebbe per comprare gli stessi beni di consumo in luoghi diversi. E questo non soltanto perché ci vuole del tempo per percorrere una data distanza, giacché potrebbero entrare in gioco variabili impreviste, quali – ad esempio – una coda in macchina o in un negozio. Pertanto, se dovessimo dar credito al motto “il tempo è denaro”, potremmo ben comprendere l’atteggiamento del consumatore medio nel prediligere, a volte anche a discapito della qualità, l’acquisto di beni di consumo presso un grosso centro di distribuzione. Pur tuttavia, è proprio la variabile tempo a giocare un ruolo importante in questo fenomeno socio-economico, non tanto perché equivalente a una somma di denaro, ma perché limitato da uno stile di vita che lascia poco spazio ad altre attività, eccezion fatta per quella lavorativa. Questo potrebbe spiegare il fenomeno della concentrazione dei momenti dedicati agli acquisti in determinati giorni della settimana. E questo potrebbe darci un indizio del perché il consumatore medio ami il carrello della spesa variegata, piuttosto che il passare da un negozio minimamente più specializzato a un altro.

Un momento della campagna elettorale del 2009.
Partendo da questa considerazione sul servizio fornito dai grandi centri di distribuzione, possiamo cercare di comprendere come l’economica locale possa parare il duro contraccolpo della già imperante globalizzazione. Inoltre, sarebbe interessante comprendere come possa oggi intervenire la “politica”, che ormai sembra non avere più voce in capitolo su questi fenomeni, per ridimensionare l’importazione forzata di beni di consumo che potrebbero essere disponibili in loco, ossia, “a chilometro zero”. Facciamo solo un esempio, che potrebbe ben calzare una tipica situazione del nostro territorio. Ammettiamo che una famiglia di quattro persone vada a fare la spesa in un supermercato una volta la settimana in media. Nel carrello della spesa ritroviamo sia alcuni beni che non sono prodotti localmente, sia altri che potrebbero essere acquistati presso rivendite locali, perché prodotti localmente. Pur tuttavia, l’origine di questi secondi prodotti che ritroviamo nel carrello non è locale. Un esempio su tutti: i prodotti dell’agro-alimentare. S’innesta così un fenomeno duplice di depauperamento del territorio: si mortifica la produzione locale e si favorisce l’importazione di beni di consumo da territori lontani (a volte anche estremamente lontani), con conseguente trasposizione di importanti risorse economiche che potrebbero alleviare la perdurante crisi occupazionale delle nostre terre.
Un meccanismo di protezione delle dinamiche produttive e occupazionali locali dovrebbe essere pensato da una classe dirigente in grado di comprendere, innanzitutto, i fenomeni in atto e  capace di trovare – nel non semplice quadro normativo attuale – una soluzione adatta a calmierarne gli effetti. Nel 2009 avevamo pensato a un forte incremento delle attività di cooperazione tra i vari produttori nel settore agro-alimentare locale di qualità, in modo da creare un impatto concreto e duraturo sull'intero mercato regionale. Sarebbe stato importante, ad esempio, concentrare sotto un marchio di qualità, unico per tutto il territorio, le varie produzioni agricole, con particolare riferimento alle tipicità locali. In questo modo, il prodotto sarebbe stato riconoscibile su una scala più vasta di quella locale e avrebbe goduto di strutture consortili di supporto che ne avrebbero curata la commercializzazione, anche presso i centri della grande distribuzione.

Infine, per quanto riguarda le misure protettive delle attività commerciali tradizionali, bisognerebbe attivare studi simili a quello effettuato nel 2006 che, visti i risultati ottenuti, può essere oggi considerato un mero esercizio accademico. Le soluzioni andrebbero cercate da amministratori competenti, da urbanisti ed economisti, insieme ai rappresentanti di categoria che, con riferimento alle vere vocazioni del territorio, abbiano fornito prova, nel tempo, di azioni coerenti. Naturalmente, non dovrebbe essere considerato utile l’apporto di chi, in dispregio dell’assetto socio-economico del territorio, avesse tentato avventure commerciali che oggi rischiano di mettere in ginocchio le residue attività locali. Anche le associazioni consumeristiche dovrebbero fare la loro parte, cercando di rendere sempre più consapevole il cittadino sul consumo di beni e prodotti e cercando, per quanto possibile, di convincere i responsabili dei punti di presenza locale della grande distribuzione di venire incontro alle legittime esigenze di sostenibilità ambientale e di rispetto delle attività produttive locali. Per prima cosa, per quanto riguarda l’associazione rappresentata dal sottoscritto, sarà suggerito, subito dopo questo breve scritto, l’apertura di un angolo dedicato ai prodotti locali certificati in ogni punto di vendita. In secondo luogo, sarà proposta la vendita di prodotti sfusi o con imballaggio a basso impatto ambientale in alternativa ai prodotti con involucri di plastica. Sarà un cammino lento e difficile verso la ripresa delle prerogative sociali ed economiche che una volta erano del Vallo di Diano. Questo percorso dovrà essere affrontato con estrema umiltà e con spiccato senso di responsabilità. Non ci sono scorciatoie, purtroppo; cosicché, prima s’inizia a mettersi in cammino, prima arriveremo all'agognata meta di un futuro sostenibile per la vallata.


sabato 10 dicembre 2016

Non amalgamiamoci

Non amalgamiamoci. È questo il messaggio che Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto l’architettura del traffico illecito dei rifiuti in Campania e in Italia e che è rimasto vittima dell’attività svolta nella devastata Terra dei Fuochi, voleva fare arrivare a chi volesse svolgere con onore il proprio dovere. Su questo ed altri aspetti della vita sociale si è parlato lo scorso 29 ottobre a Polla, presso l'Ex Libris Café, con Nello Trocchia, l'autore del libro dedicato a Roberto Mancini. Grazie a una delle tante meritorie iniziative dell'Associazione Voltapagina abbiamo potuto godere di un momento di riflessione su alcuni mali endemici del nostro splendido territorio.

Non amalgamiamoci. È questo il messaggio che umilmente anch'io – con questo scritto - vorrei fare arrivare ai tanti cittadini che, in questo momento, stanno vivendo situazioni difficili, perché la nostra società non sa – al momento - essere giusta e non sa rispettare i diritti di ciascuno, ma sembra voler coltivare solo i privilegi di alcuni (gli amalgamati, appunto). È difficile rimanere con la schiena diritta in questi momenti in cui la crisi economica sta producendo povertà diffusa, ma l’esortazione che vorrei fare arrivare, soprattutto a chi in questo momento è in difficoltà, è la seguente: non sarà sempre così. La Repubblica, in tutte le sue molteplici espressioni, saprà dare piena attuazione agli articoli 1, 2, 3 e 4 della Costituzione. Deve essere così, e non può essere altrimenti, perché “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Civetta
(https://it.wikipedia.org/wiki/Athene_noctua)
Non amalgamiamoci. È questo che dobbiamo ripeterci a vicenda anche perché abbiamo conosciuto tempi in cui, nel Vallo di Diano, la politica c’era e nessuno si sognava di “amalgamarsi”, perché ciascuno faceva parte di una squadra, che poteva perdere o poteva vincere. Adesso esistono solo vincitori, perché gli avversari si sono eclissati. Con questi vincitori non bisogna amalgamarsi, pena la morte interiore. Quel periodo di dialettica politica finisce proprio quando inizia il declino del Vallo di Diano (che implicitamente si fa iniziare con l'anno del Signore 1987, anno in cui viene chiusa al traffico la linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro). Gli attuali amministratori sono dei cloni mal riusciti di figure politiche preminenti del passato. Essi, tuttavia, sono ancora capaci di raccogliere voti a iosa (De Luca docet!), ma non a sufficienza per potere arginare il fiume in piena del 4 dicembre scorso. Una valanga di voti ha fatto comprendere a una classe dirigente, che forse è ancora sotto shock, che le regole della democrazia non possono essere alterate a proprio piacimento. 

Se volessimo fare un'analisi delle ragioni del declino, tuttavia, il tutto non va ascritto all'assenza di un politico “di peso”, ma all'assenza della politica, molto più semplicemente. Della buona politica, soprattutto, quella che l’opinione pubblica non ha mai voluto riconoscere, perché - al momento opportuno - sono stati attivati quei meccanismi clientelari che Vincenzo De Luca ha saputo bene illustrare nel proprio discorso ai trecento (un numero a me caro, assolutamente da non confondere con i Trecento) sindaci campani. 

Su queste e altre questioni ho scritto, in agosto, sul mio blog, cercando di ripercorrere a ritroso quanto successo nelle ultime elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio regionale.

Allocco
(https://it.wikipedia.org/wiki/Strix_aluco)
Comprendo che è difficile stare al passo con quanto viene scritto e detto sulla politica locale, e anche sulle predizioni più amare, come nel caso di una lettera a Repubblica in cui si denunciava la presenza di "bolidi estivi" nel Vallo di Diano. Proprio nella lettera di accompagnamento alla testata nazionale si faceva notare come un cittadino che osserva determinati fenomeni non ha strumenti, se non quello della persuasione della parola, per affrontare alcune specifiche questioni.

Pertanto, proprio l'assenza della politica ha reso il cittadino privo di poteri politici, appunto. Infatti, se il significato dell'espressione di voto dovesse essere riconducibile allo scambio prospettato nella ormai famosa arringa ai trecento sindaci, avremmo - come territorio - davvero poco potere contrattuale ("poche decine di migliaia di voti"). Anche perché chi amministra è rappresentato, nella stessa arringa, come impegnato a gestire le briciole di ciò che il dominus (a seconda della percentuale di votanti che vanno al seggio con le bandiere giuste, dopo aver consumato una buona frittura di pesce) decide di elargire magnanimo.


Gli allocchi locali, pertanto, non possono essere cercati tra coloro i quali hanno sempre dato una rappresentazione giusta della politica, fatta di idee e di onesto servizio, ma sono da individuare in coloro i quali hanno precise responsabilità amministrative. Alcuni di questi volatili, che assomigliano molto alle civette, di cui ben conoscono le funzioni, ricoprono da decenni ruoli importanti per lo sviluppo del territorio. Ma, naturalmente, di questi rapaci notturni nessuno parlerà mai in tono sprezzante, perché hanno in mano il cordone della borsa. E che importa se oggi dicono una cosa, domani l’altra e dopodomani l’altra ancora. Di tempo ne hanno avuto per dire ancora, per fare e disfare, ad libitum. Quel tempo, per fortuna della vita democratica, sembra essere scaduto.